Percezioni d’altri mondi

Percezioni d’altri mondi

Il y a quelques années, je pensais que la technologie changerait l’être humain. Aujourd’hui, je pense qu’elle va changer la perception qu’on a de l’être humain.”

Sabato scorso su Le Monde è comparsa un’intervista al professor Ollivier Dyens a proposito del suo suo libro “La condition inhumaine”. Il titolo dell’articolo parla di rivoluzione, alludendo a quella percezione di cambiamento dettato dalla tecnologia che sembra aver toccato un po’ tutti.

Da Flickr

Tra le persone che ho contattato negli ultimi tempi e nei vari campi di cui mi interesso mi sono trovato di fronte ad alcuni atteggiamenti ricorrenti. Sono posizioni di cui ero a conoscenza anche precedentemente, ma ultimamente mi ha colpito la diffusione di queste posizioni.

 


 

Il più diffuso sentimento fra questi fa capo alla diffidenza. Diffidenza perchè la rete, con la sua distribuzione orizzontale dei rapporti di forza indebolisce o quantomeno cambia gli schemi abituali di costruzione e mantenimento del consenso. Diffidenza perchè si ritiene che le persone, nel cono dell’anonimato dei nickname, tirino fuori soprattutto il loro lato negativo e che ciò che non avrebbero il coraggio di dire allo scoperto, qualsiasi nefandezza o scemenza, sia legittimato dalla rete. Diffidenza perchè appare difficile per la piccola e media impresa stabilire un rapporto economico coi clienti.

 

Un altro approccio fa parte di una forma di entusiasmo pragmatico. Non si capisce bene dove possa portare una vera politica del digitale, ma si intuisce una frontiera decisiva per i prossimi anni. E nell’incapacità di discernere cosa è buono e cosa no, cosa è adatto alla propria particolare situazione e cosa invece potrebbe rivelarsi dannoso, si tentano timidamente tutte le strade. Non si concentrano cioè le forze su alcune priorità di comunicazione o relazione, ma si cerca una visibilità indefinita, una presenza. Esserci, come si è presenti a certe inaugurazioni, mostre, convegni, cene, etc. etc. Mi si nota di più se vengo.

 

Mi sembra che in entrambi i casi molto si debba addebitare agli operatori di settore, soprattutto a coloro che cercano di vendere a tutti i costi un pacchetto web senza andare realmente incontro alle esigenze del committente. Senza spiegare che qualsiasi sito richiede un lavoro redazionale di aggiornamento dei contenuti, che un sito non è un volantino da cambiare una volta a stagione, quando va bene, e nemmeno la vetrina di una nuova collezione.

 

Un sito è uno spazio abitato, nel quale si cotruiscono le relazioni e si mantengono le amicizie, si discute, si litiga e ci si allea.

 

Anche questo, in fondo è un problema di percezione. Qualcuno sente di essere entrato in un epoca nuova, Dyens arriva a sostenere che la tecnologia ridurrà il numero delle guerre (sic!). L’Italia è terra di gattopardi ed è il cambiamento stesso ad essere considerato un falso, un’impossibilità storica.

 

1Comment
  • Fabio Curzi
    Posted at 19:43h, 05 Marzo Rispondi

    Scritto da tolomeo
    secondo me c’è un altro atteggiamento patologico che è quello di perdere i collegamenti tra i referenti reali e quelli nella rete. Le vere potenzialità del web sono nella compenetrazione di una nuova dimensione cognitiva nella propria sfera esperienziale (sensoriale)

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