San Benedetto che verrà

San Benedetto che verrà

[singlepic id=209 w=500 float=none]

Questo testo mi è stato chiesto da Emidio per una raccolta di note su Facebook in cui alcuni stanno dicendo come vedono la San Benedetto che verrà. La raccolta completa la trovate a questo indirizzo:

http://www.facebook.com/notes.php?id=1597517156&notes_tab=app_2347471856


Mio padre mi lasciava con la macchina davanti all’Upim e poi facevo a piedi il viale, passavo davanti a Sciarra e andavo verso via San Martino. Da Angelo compravo una pizza per la ricreazione e poi entravo a scuola per la mia quarta e quinta elementare, alle Leopardi.

Mio padre proseguiva con la sua Kadett verde che il sale nell’aria avrebbe fatto squamare. Andava alla Surgela da Grottammare, dove ci eravamo trasferiti da poco, lasciando un territorio familiare che andava dalla Cassa di Risparmio di viale de Gasperi e dai frati fino ai Sacramentini. Intorno c’erano i terrazzi su cui si passava l’estate degli ufo a guardare il cielo, la vela gialla della Pupina Serena con il suo Leone e la targa all’ospedale vecchio, la rete del Ballarin e la bottega di Domenico a cui, duenne, avevo recitato valàcastronaroripachimentisimonatobasilico, meraviglia dei grandi.

Una mattina come le altre, novembre ’82, quando mio padre mi fece scendere dalla macchina un treno era quasi finito sopra la giostra di Pino. Ma non era strano, era solo un evento più grande dei proiettili nel muro del Florian, perché i treni saltavano, era una possibilità. E bisognò convincersi che fosse solo un incidente.

Quando sono cresciuto San Benedetto smetteva, piano piano, di crescere. Dopo aver corso per tutto un secolo si viveva, senza accorgersene, la cresta di un’onda che era sì il momento più alto, ma dietro la quale sarebbero venuti questa mancanza di idee, questa mancanza di spinte. Vabbè, dici, non è il problema di San Benedetto ma della Nazione.

Come si vive a San Benedetto? Abbastanza bene, grazie.
Solo che ci vivevo meglio vent’anni fa. E non perché ero più giovane, ma perché quando andavo al mare d’inverno non trovavo una muraglia cinese intorno ai casotti. Perché la città era dei sambenedettesi e non dei commercianti/albergatori/ristoratori/altro, perché anche loro prima di essere commercianti/albergatori/ristoratori/altro erano sambenedettesi. E’ collassata la città e quel non detto di condivisione di obiettivi e di comportamenti. Chi si riconosce ancora nella statua del pescatore?

C’è gente in giro. Gente che si maschera in una sera d’estate, gente che organizza concerti, gente che scatta foto e gente che organizza mostre. Gente che legge in giro. Non sono tanti, eh. Però non li incontri nelle sale d’aspetto dei comuni. E’ gente che crede d’essere creativa, che chiede una libertà d’azione che qualcuno non riesce a capire e concedere. Perché magari fanno tardi la notte. Energia grossolana, che sbatte senza concentrare le forze in un punto per fare breccia nella diga di questa classe dirigente fallimentare. (Oh, i politici per carità, ma non è che voi negozianti o costruttori o pescatori o avvocati state messi meglio).

Passata l’onda, ora è bonaccia. Aspettiamo il vento o cominciamo a remare?

[Nota. Abito a Grottammare, ho un ufficio ad Acquaviva, esco con gli amici a San Benedetto. Per me San Benedetto non è quella del catasto, ma l’insieme delle persone che, almeno da Cupra a Monteprandone, si incontrano e costruiscono relazioni.]

1Comment

Post A Comment